giovedì 26 aprile 2012

Vittoria Indigena! Condividiamo anche le nostre gioie e lotte!

Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras - COPINH
Comunità indigena Lenca di Yance ottiene il titolo comunitario
di almeno 300 ettari delle sue terre ancestrali


Dopo innumerevoli azioni di lotta condotte in modo sistematico e continuo, la comunità  Lenca di Yance è riuscita ad ottenere il primo titolo comunitario della sua terra ancestrale.  
Siamo una comunità Lenca aderente al Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras  COPINH, la stessa che sabato 21 aprile celebra la consegna del titolo comunitario di una parte delle nostre terre ancestrali, da parte dell'Istituto Nazionale Agrario, occasione di cui si approfitterà per la consegna della personalità giuridica alle comunità di San Bartolomé  e Rio Blanco del municipio di Intibucá.
Durante il pomeriggio e la sera  realizzeremo  attività a carattere spirituale di presentazione delle primizie al cuore del cielo e della terra, condividendo arte indigena e popolare, memoria storica delle nostre rivolte ed impegno degno e saldo di continuare a lottare  contro la dominazione, il soggiogamento e lo sfruttamento.
Questo risultato è frutto di una lotta che ha implicato occupazione di strade, peregrinazioni, espulsione di predatori e perfino l’occupazione della sede dell’esecutivo ed altre istanze governative.
Yance celebra questo risultato con la convinzione che un mondo migliore sia possibile, che il potere indigeno e popolare ci consenta di difendere la nostra visione anticapitalistica e di continuare a rafforzare una visione comunitaria, di popolo e rispetto profondo per la natura.
La comunità di Yance ha raggiunto questo risultato, senza implicazioni di pagamento a nessuno per le terre che tradizionalmente hanno dato alimento e sostentamento a questa popolazione Lenca dell’Honduras, né piegandoci davanti a nessuno, né mendicando.
Continueremo la lotta per ottenere il titolo di proprietà dell’altra parte delle terre in cui vive la comunità, che sono in attesa di tale attribuzione .
Yance ringrazia la solidarietà nazionale ed internazionale, che col suo appoggio militante ha permesso di incoraggiare speranze e ribellioni, con cui ovunque ci confrontiamo.
La comunità di Yance esprime la decisione di continuare a partecipare attivamente alla nostra organizzazione, il COPINH, che ha gestito molti dei trionfi storici del popolo Lenca dell’Honduras.
Yance, Jesus de Otoro, Intibucá, Honduras, 20 aprile 2012
Consiglio Indigena Lenca Comunale, COPINH

lunedì 2 gennaio 2012

Neruda en el corazón



Murales cileno
Neruda poeta. Neruda scrittore, politico, diplomatico, presidente(quasi), marito e padre... Uomo, prima di tutto, che amava ritrarsi umile e impegnato in mezzo agli altri uomini, che ha vissuto con i suoi versi e il suo impegno(“La poesia es un oficio”, diceva) sempre da “io” protagonista, ma non solo per suo sfizio personale, anzi, pensando sempre alla collettività.
Un pensatore, non un fazioso.
Attaccato alla sua terra, il Cile, ma pronto a partire per mete lontane e talvolta improbabili, come nel caso del viaggio in Asia del 1927 o come quando tornò in patria a bordo della Winnipeg.
Troppo banale e prolisso enumerare le azioni svolte nel corso di una vita così intensa; quindi meglio scoprirne solo qualche tassello, sconfessare qualche pezzetto di vita. In particolare, capire quanto una personalità come Neruda abbia significato in un secolo come il '900, innanzitutto per il Cile, patria lasciata e ritrovata più di una volta, dai confini non nitidi, che oltrepassano le Ande arrivando fino a Valparaíso, così vicina alla grande capitale eppure così diversa, il cui centro non è Santiago, ma piuttosto la Isla Negra, rifugio di vita che sconfinava nell'oceano più remoto.
Fu proprio Neruda che riuscì a portare numerosi intellettuali europei oppositori alle dittature dominanti in Europa fino in Cile, salvandoli da una morte certa. Per questo, probabilmente, si cruccerà sempre per non essere riuscito a sottrarre al triste destino il suo collega e grande amico Federico García Lorca, che a causa dello stesso amor di patria che sentiva Neruda, non se la sentì di lasciare Granada, dove sarà fucilato “misteriosamente” dai franchisti nell'agosto del '36.
In seguito, Neruda lascerà il paese natale, forzato dall'esilio. Conoscerà in questi anni personalità letterarie spiccate e futuri amici, come Alberti, Hernandez, Eluard, ma farà anche incontri inaspettatamente piacevoli, dato il suo credo politico.
Dalle pagine della sua biografia “Confieso que he vivido”, si evince una condanna implacabile contro le dittature europee dell'epoca, da quella francese di Vichy, fino a quella franchista e non per ultima quella italiana.
Un'opposizione quella di Neruda che dura quarant'anni, senza dubbi né compromessi, ma espressa sempre da uomo di cultura, estremamente moderno. Nelle sue parole di condanna traspare un'umiltà disarmante, capace di far riflettere più di mille offese scagliate contro l'oppressore. Fu per questo motivo che subì l'esilio, divenendo anche lui, come altri colleghi(Alberti, Vallejo)migrante, per più di dieci anni.
Vive la lontananza dalla sua terra con semplicità e dignità uniche, non subita, quasi come fosse stata l'occasione per i suoi viaggi, come quello in URSS del '49 durante il quale si ricredette rispetto a Stalin, e per i suoi incontri, come quello con Matilde Urrutia, sua futura moglie a cui dedicherà nel 1959 “Cien sonetos de amor”.
Mi viene in mente un ossimoro se penso alla lunga contestazione di Neruda, definendola “un'opposizione rispettosa”. In effetti, Pablo Neruda era un uomo umile e rispettoso, prima di tutto con gli amici. Per esempio, cedette di buon grado il suo posto per le presidenziali a Salvador Allende, non sentendosi all'altezza. Ma anche con gli avversari, riconoscendo ad esempio la grandezza artistica dell'antisemita Céline.
Neruda si sentiva prima di tutto un poeta. Confidava estremamente nel potere del suo lavoro, primo compagno della sua vita, di quel mezzo espressivo, la parola, per lui arma potente e costruttiva(o distruttiva, a seconda di chi la pronuncia...). La forza della parola è più potente dei dittatori, delle bombe e delle armi da fuoco. Una forza all'apparenza innocua, ma in realtà dirompente, di cui Neruda parla così: 

Pablo Neruda con Salvador Allende
“La poesia es siempre un acto de paz. El poeta nace de la paz como el pan nace de la harina. Los incendiarios, los guerreros, los lobos buscan al poeta para quemarlo, para matarlo, para morderlo. Un espadachín dejó a Pushkin herido de muerte. Luchando contra la guerra, murió Byron en Grecia. Los fascistas españoles empezaron la guerra en España asesinando a su mejor poeta.
Pero la poesia no ha muerto, tiene las siete vidas del gato. La molestan, la arrastran por la calle, la escupen y la befan, la limitan para ahogarla, la destierran, la encarcelan, le dan cuatro tiros y sale de todos estos episodios con la cara lavada y una sonrisa de arroz.”

La magia della poesia, però, non appartiene a tutti. Neruda ce l'aveva cucita addosso. Tanto era passionale che dopo trentotto anni dalla sua morte i suoi versi sono ancora viscerali e fortemente carismatici.
Leggere Neruda è un viaggio che ne racchiuda altri: amore, avventura, esplorazione di terre esotiche e sconosciute, romanzo storico.
Tutto ciò accompagnato dalla colonna sonora delle sue parole, semplici, ma perfettamente orchestrate: sinfonia che ha musicato quasi l'intero '900.

                                            
                                                                                               Anna Braccesi

sabato 17 dicembre 2011

In Messico la polizia spara su gli studenti e uccide due ragazzi


Lo scorso lunedì 12 dicembre intorno alle 11,45, circa 500 studenti della Normal Raùl Isidro Burgos hanno bloccato l’autostrada Città del Messico-Acapulco e la strada federale all’altezza di Chilpachingo, la capitale dello stato del Guerrero.
Gli studenti chiedevano un incontro con il governatore dello Stato Ángel Aguirre Rivero dopo che lui aveva mancato a  ben 4 riunioni già accordate.
Quasi 400 poliziotti hanno provato a sgomberare  gli studenti, che hanno risposto con pietre, razzi e molotov. Nonostante la procura dello stato abbia cercato di addossare la colpa degli spari ai poliziotti, le immagini trasmesse dai media sono eloquenti su l’uso dei fucili da parte dei poliziotti. Alla fine 2 studenti sono rimasti uccisi: Gabriel Echeverría de Jesús e Jorge Alexis Herrera. Altri 24 studenti sono stati arrestati e selvaggiamente picchiati.
 Anche  lo scrittore e giornalista Erik Escobedo Amador è stato arrestato e picchiato duramente, mentre osservava la feroce repressione conto gli studenti.Il giornalista ha raccontato che stava osservando gli scontri da l’interno di un negozio di riciclaggio di materiale plastico, quando la polizia ha fatto irruzione all’interno e senza permettere che si potesse identificare come giornalista lo hanno buttato a terra, percosso e ammanettato. Ha detto che la polizia s’è scagliata furiosamente anche su altre 10 persone, che hanno arrestato con lui, tra cui due minori e un’anziana. Il giornalista è stato interrogato e detenuto per un’ora nel commissariato.
Erano evidenti le percosse nel suo corpo. Il secondo giornalista arrestato e picchiato si chiama Sendic Estrada professore all’università autonoma del Guerrero e pubblicista del giornale La Jornada Guerrero. Stava documentando degli studenti uccisi, e mentre raggiungeva i cadaveri e riferiva al giornale è stato raggiunto dalla polizia che lo privato del cellulare e della macchina fotografica, picchiato e anche lui arrestato per alcune ore. La polizia gli ha reso la macchina fotografica con la memoria cancellata.
 Il CEPET (centro di giornalismo e etica pubblica) ha chiesto alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani di  indagare sull’accaduto, poiché l’aggressione contro i giornalisti sia considerata un attacco al diritto dei cittadini di essere informati. Inoltre richiede in indagine profonda per cui questi fatti non restino impuniti e che sia garantita la sicurezza dei giornalisti picchiati e arrestati.
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giovedì 15 dicembre 2011

Nicaragua: L'opposizione nel suo labirinto




Eliseo Núñez © (Foto G. Trucchi)
Lo scorso 3 dicembre, l'opposizione in Nicaragua ha mobilitato tra le 3 e le 4 mila persone a livello nazionale, per protestare contro la presunta frode elettorale nelle elezioni presidenziali del 6 novembre. Secondo i risultati pubblicati dalla massima autorità elettorale, il presidente Daniel Ortega sarebbe stato rieletto con oltre il 62 per cento dei voti. Tuttavia, l'ex candidato oppositore Fabio Gadea Mantilla insiste nel volersi dichiarare vincitore e ha deciso di rifiutare il posto in Parlamento riservato al candidato secondo arrivato. 
 
È oramai trascorso più di un mese da quando i nicaraguensi hanno depositato il proprio voto nelle urne e l'opposizione non ha ancora potuto - o voluto - presentare prove della frode elettorale. Non ha nemmeno spiegato perché, nonostante le missioni d'osservazione elettorale abbiano denunciato una serie di irregolarità, praticamente nessuno a livello internazionale stia mettendo in dubbio la vittoria di Ortega. Al contrario, quasi tutti i capi di Stato latinoamericani hanno già inviato le proprie congratulazioni per la sua rielezione.
 
Per cercare di fare chiarezza su alcuni punti, la LINyM ha pensato quindi d'intervistare il responsabile della campagna elettorale dell'Alleanza PLI e futuro deputato Eliseo Núñez Morales. Tuttavia, l'intervista è stata bruscamente interrotta dal politico, proprio mentre cercavamo di approfondire alcuni temi cari all'opposizione e che riguardano la presunta frode, la mancanza di prove e la scarsa reazione della comunità internazionale.



 
- Qual è l'obiettivo di questa mobilitazione? 
- È la prima di una serie di attività che hanno l'obiettivo di ricreare in Nicaragua un sistema elettorale credibile e accettato da tutte le parti. Ciò che queste elezioni hanno dimostrato è che, indipendentemente da qualsiasi discorso,  il sistema elettorale non è considerato credibile dalla maggior parte della popolazione nicaraguense. 
 
Non è possibile andare avanti con questo sistema. Bisogna cambiarlo e bisogna anche garantire che le elezioni siano pulite e trasparenti e che si possa sapere esattamente chi sia il vincitore della sfida, altrimenti la sfida si trasferisce in piazza.
 
- Guardando tutti questi striscioni mi sembra che ci sia anche un altro obiettivo e cioè denunciare che c'è stata una frode e che si vogliono nuove elezioni. Per il momento, però, non avete presentato prove... 
- La prova della frode è rappresentata da tutta una serie d'irregolarità che costituiscono un modello di comportamento. I seggi dai quali sono stati espulsi i nostri rappresentanti di lista sono proprio quelli in cui l'opposizione aveva un grande vantaggio sul Fronte Sandinista. Dove l'opposizione, con quei voti, avrebbe matematicamente accumulato quanto basta per vincere. 
 
- Queste sono supposizioni? Perché magari in quegli stessi seggi il Fronte Sandinista aveva aumentato i propri voti durante gli ultimi cinque anni... 
- Non sono supposizioni... 
 
- Parlo di prove concrete. Mi ricordo che nel 2008 avevate presentato i verbali di scrutinio... 
- La prova è che hanno voluto lasciarci senza prove fin dall'inizio. È l'espulsione sistematica dei nostri rappresentanti di lista dai seggi in cui stavano perdendo... 
 
- Quante persone hanno espulso? 
- Il 30 per cento e l'abbiamo documentato. 
 
- Sono stati espulsi?
- O non hanno dato loro l'accreditamento o li hanno espulsi. 
 
- Rispetto agli accreditamenti, però, a livello internazionale non si capisce come mai il Cse (Consiglio Supremo Elettorale) abbia detto che avete chiesto la sostituzione di 19 mila dei vostri rappresentanti di lista a sole 48 ore dal voto... 
- È completamente falso. Abbiamo chiesto la sostituzione di 8 mila rappresentanti, tra proprietari e supplenti, cioè in 4 mila seggi (su un totale di 13 mila seggi equivale al 31 per cento N.d.R.). 
 
- Non può essere questo uno dei motivi per cui in molti seggi siete rimasti senza rappresentanti di lista? 
- La legge ce lo permette ed è una delle strategie dei partiti. La lista definitiva (dei rappresentanti) l’abbiamo presentata solo 48 ore prima delle elezioni, evitando in questo modo che corrompessero con denaro i nostri rappresentanti. Il Cse aveva infatti consegnato la lista della nostra gente al Fronte Sandinista e quest'ultimo ha iniziato a ricattarli. È per questo che li abbiamo cambiati all'ultimo momento.
 
- Un altro elemento che crea confusione è che, sebbene le missioni internazionali abbiano segnalato irregolarità, nessuno ha mai messo in dubbio la vittoria di Ortega. L'ex candidato presidenziale dell'opposizione continua invece a dire che ha vinto con più del 50 per cento dei voti. Come è possibile? 
- Il nostro conteggio veloce dice che abbiamo vinto con più del 50 per cento. Il problema è invece che il Cse ha fatto sparire le prove e i risultati dei seggi. 
 
- Ma nessuno a livello internazionale mette in dubbio il risultato... 
- L'Unione Europea ha detto che non le è possibile determinare il risultato delle elezioni. 
 
- Ma il capomissione ha detto che non c'è stata frode e che Ortega ha vinto... 
- Non ha detto questo. Non ha detto che non c'è stata frode. 
 
- Luis Yáñez ha detto che per i politici, "frode" vuole dire proclamare vincitore chi ha perso e sconfitto chi ha vinto. E che se la domanda è se Daniel Ortega e il Fronte Sandinista hanno vinto queste elezioni, la risposta è indubbiamente sì... 
- Non ha detto questo. Ha detto che indubbiamente i numeri che dà il Cse lo danno come vincitore. 
 
- Ma questo è quanto ha detto l'Osa (Organizzazione degli Stati Americani)... stiamo parlando dell'Unione Europea... 
- Ha detto che indubbiamente i numeri che dà il Cse lo danno come vincitore, ma che il volume delle irregolarità non può generare un risultato sicuro... 
 
- Però come spiega che a livello internazionale non ci sia stata una reazione significativa? Non credo che il Nicaragua sia così potente da spaventare la comunità internazionale... 
- Quanti Presidenti hanno riconosciuto Ortega? 
 
- In America Latina credo quasi tutti... 
- Attraverso una comunicazione ufficiale nessuno, a eccezione di quelli dell'Alba. 
 
- Non è così... quasi tutti hanno inviato...anche quelli del SICA (Sistema d'Integrazione Centroamericano) hanno riconosciuto la vittoria...il Guatemala ha inviato una lettera... 
- Il SICA lo ha riconosciuto (Ortega) come organismo e il Guatemala non ha inviato niente.
 
- Il presidente Colom ha inviato una lettera ufficiale... 
- Il Presidente nuovo non lo riconoscerà... 
 
- Ma...  
 
(Eliseo Núñez abbandona improvvisamente l'intervista  e si rifiuta di rispondere alle successive domande)


© (Testo e Foto Giorgio Trucchi  - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione  Italia-Nicaragua - www.itanica.org )    

lunedì 12 dicembre 2011

Vertice della società civile e sociale in Bolivia


Inizia oggi nella città di Cochabamba in Bolivia un vertice sociale che vedrà riuniti più di 500 rappresentanti dei movimenti sociali boliviani, indigeni, contadini, sindacati, donne, studenti, professionisti, imprenditori e altre aree sociali. Al vertice, che durerà fino a mercoledì, partecipa anche il presidente boliviano Evo Morales. Lo stesso presidente aveva convocato questo vertice ad ottobre, durante la  Giornata  Nazionale contro la Decolonizzazione, ed in tale occasione aveva esortato l’intera società boliviana a progettare congiuntamente un nuovo piano di sviluppo nazionale dal 2012, sulla base dell’industrializzazione delle risorse naturali.  Morales ieri ha auspicato che questo incontro possa promuovere politiche e programmi nazionali, con il risultato di una crescita economica per il paese e soprattutto per il popolo, evidenziando che questo incontro non servirà per discutere questioni settoriali o individuali, ma servirà a pianificare la crescita economica. “Ma più che costruire un’agenda da zero (di governo), quello che dobbiamo fare è approfondire e incentivare il cambiamento” ed ha aggiunto che le mete sono: “la diversificazione economica, l’ampliamento dell’apparato produttivo, il riposizionamento del paese nel mercato estero e la diversificazione delle esportazioni”. Le organizzazioni sociali, contadine e indigene hanno fatto sapere che orienteranno la discussione verso proposte atte a sviluppare un economia plurale e giusta. La Confederación Sindical Única de Trabajadores Campesinos de Bolivia (Csutcb) ha suggerito, tra le altre questioni l’impulso del processo di cambiamento con lo sviluppo della produzione agricola e zootecnica e la distribuzione di terre in maniera equa per gli indigeni che ancora non la tengono.
Questo vertice ha suscitato anche critiche da parte dell’opposizione e di alcuni analisti.  Il sociologo e professore Carlos Cordero ha criticato la non democraticità dell’evento, affermando che i partecipanti sono il risultato di un inviti selettivi realizzati dalle “sfere del potere”. Mentre la senatrice di destra Centa Reck ha diffuso ieri un comunicato dove lamenta che “ l’economia erratica, la terribile ondata di insicurezza cittadina, il narcotraffico sfrenato, la conservazione dell’ambiente, le difficoltà delle imprese nazionalizzate non sono tra i temi che preoccupano il vertice”.
Il convegno  sarà suddiviso in tre fasi: la prima dove inizieranno e si svilupperanno i work shop, la seconda per spostare le proposte in ambito dipartimentale e la terza, nel gennaio 2012 sempre a Cochabamba, dove saranno definite le conclusioni della riunione e che saranno poi consegnate al capo dello Stato.
Gabriele Morandi

domenica 11 dicembre 2011

Incontro Internazionale dei Diritti Umani in Solidarietà con l’Honduras




Fratelli e sorelle,

Compagni e compagne,

Il nostro saluto a tutti e tutte,



Con la speranza e la voglia di continuare a costruire un Honduras in cui noi non siamo statistiche in aumento per violazione dei diritti umani, cercando soluzioni alla grave situazione umanitaria nella regione di lotte contadine della Valle dell’Aguán, stiamo facendo confluire gli sforzi di varie organizzazioni, affinché ci si riunisca sempre più tra honduregni ed honduregne per riesaminare le realizzazioni collettive di giustizia, dignità e vita, potendo fare affidamento sulla solidarietà internazionale, che ci riempia d’incoraggiamento, di tenerezza e ci renda forti nell’affrontare la sistematica violazione dei diritti umani, la militarizzazione e il saccheggio.

Ci fa molto piacere invitarvi a partecipare all'Incontro Internazionale dei Diritti Umani in Solidarietà con l’Honduras, che si svolgerà nel BajoAguán, dipartimento di Colòn, Honduras, dal 17 al 20 febbraio 2012.

In questo Incontro Internazionale ci proponiamo di:

- Evidenziare la continuità del colpo di Stato in Honduras e la sua espressione in tutto l'apparato istituzionale, responsabile dell'impunità e dell'acutizzazione della violenza statale.

- Rafforzare i vincoli solidali e di fratellanza tra lotte e popoli del mondo, a partire dall'azione comune dinnanzi alla grave situazione di violazione dei diritti umani in Honduras.

- Rendere visibile e denunciare la situazione di violazione dei diritti umani in Honduras, specialmente nel Bajo Aguán.

- Comprendere il vincolo tra militarizzazione, multinazionalizzazione, lotta per la terra e violazione dei diritti umani nella regione e nel paese.

Prima e dopo l'Incontro e nell’ambito di questa convocazione, si realizzeranno Brigate Nazionali ed Internazionali di Solidarietà presso le comunità ed insediamenti che vivono le condizioni più gravi. Tali Brigate di Solidarietà si costituiscono a partire dalla convinzione che la creatività, l'affetto attivo e la collettività vitale, abbiano il potere di smontare la cultura della violenza che sostiene la logica militare.

Svolgeranno compiti di prevenzione e protezione dei diritti umani negli insediamenti delle varie organizzazioni contadine sottoposte a repressione e sterminio. I periodi di permanenza delle brigate di solidarietà saranno definiti tra le persone delegate e l'Osservatorio.



Vi ricordiamo che l'arrivo a Tocoa, città principale del Bajo Aguàn, è stabilito per il 17, il 18 e 19 saranno giorni di lavoro pieno ed il 20 la partenza.  L'Osservatorio coordinerà le Brigate di Solidarietà per coloro che vi proseguiranno. 



Per ulteriori informazioni:

potete comunicare tramite l’indirizzo di posta elettronica:      mioaguan2012@gmail.com




Per le Brigate di Solidarietà contattare direttamente:



Observatorio Permanente de Derechos Humanos en el  Aguán.

Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras COPINH.

Organización Fraternal Negra de Honduras OFRANEH

Insurrectas Autónomas

Espacio Refundacional

Coordinadora de Organizaciones Populares del Aguan COPA

Frente Nacional de Resistencia Popular – FNRP - Colon

Movimiento Campesino del Aguan - MCA

Movimiento Unificado Campesino del Aguan – Margen Izquierda

MUCA –MI

Movimiento Unificado Campesino del Aguan – Margen Derecha

MUCA-MD

Movimiento Campesino de Rigores

Movimiento Campesino Orica

Movimiento Marañones

Cooperativa Buenos Aires

Movimiento Campesino de Vallecito

 Movimiento Auténtico Reivindicador de Campesinos del Aguan MARCA

Fundacion Popol Nah Tum

Colectivo Italia Centro América

Rights Action

Convergencia de Movimientos de los Pueblos de las Americas COMPA

 Comité de  Familiares de Detenidos Desaparecidos en Honduras COFADEH







Tradotto da Adelina Bottero

sabato 10 dicembre 2011

Ancora repressione e abusi alle comunità mapuches


Cile-Lo scorso giovedi 8 dicembre, centinaia di polizotti hanno sparato proiettili e bombe lacrimogene all’interno della comunità Ignacio Queipul. Il gruppo di poliziotti armati è entrato dalla collina del settore Alaska, dopo un pattugliamento con un elicottero durato tutta la mattina di giovedì. L’attacco che è durato varie ore ha avuto come conseguenza l’arresto di un bambino di 13 anni Felipe Marillan. La moltitudine di proiettili e gas lacrimogeni sparati ha reso l’aria irrespirabile, tant’è che molti abitanti della comunità hanno lasciato le loro case per rifugiarsi in luoghi più sicuri. Il bambino che già nel 2009 era stato ferito dalle pallottole della polizia, è stato per alcune ore  nel commissariato della polizia di Ercilla a 8 kilometri dalla comunità. Il suo corpo è completamente pieno di ematomi, ed ha inoltre raccontato di essere stato tenuto al suolo con la testa schiacciata da un funzionario di polizia. La polizia ha giustificato il suo arresto dicendo che il bambino sarebbe stato l’autore del sabotaggio ad un cavo elettrico, cosa che ha provocato lo sdegno dei genitori che hanno invece detto che la cosa è impossibile dato che durante l’attacco della polizia si poteva soltanto scappare.
Mentre succedeva questo, nel territorio de Trapilwe del lof mapu di Forowe (Boroa) vicino a  Temuco, un contadino mapuche è stato prelevato da 4 sconosciuti in borghese, caricato in una 4X4 e trasportato in un luogo isolato vicino ad un fiume. Li è stato picchiato e interrogato. Volevano sapere cose riguardo l’ATM (Alianza Teritorial Mapuche) e lo hanno intimato di non seguire più la suddetta organizzazione e i suoi dirigenti. Secondo quanto riportato dal blog dell’ ATM (http://alianzaterritorialmapuche.blogspot.com/), questi tipi di interrogatori e intimidazioni sono avvenute a molti mapuches che abitano nelle comunità intorno a Temuco, Victoria, Curacautin, Padre las Casas, Ercilla, Cunco e Vilcun. Il blog riporta anche che nei mesi di novembre e dicembre più 30 mapuches sono stati vittime di interrogatori violenti e illegittimi.
Dirigenti dell’ATM hanno segnalato questi gravi abusi alle organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani e  hanno accusato il governo cileno  di annullare i diritti umani fondamentali; soprattutto quando polizia militarizzata attacca i villaggi passando attraverso la collina della comunità, violando così uno spazio che per i mapuches ha un alto valore spirituale e culturale.
  

Il Brasile al primo posto per l'esportazione di carne di pollo e per il massacro dei lavoratori


“C'è gente che preferisce la disoccupazione
all'inferno della macellazione avicola"



Immagine Allan McDonald/Rel-UITA


L’industria avicola brasiliana si espande in tutto il mondo e i suoi prodotti continuano a diffondersi su nuovi mercati: Mentre tutto ciò accade, sono migliaia nel Paese le persone che convivono con gravi lesioni. Si tratta di ex lavoratori e lavoratrici che soffrono costantemente di forti dolori e malformazioni agli arti a causa di ritmi di lavoro selvaggi e brutali. Un processo di produzione che, contemporaneamente, tritura polli e la salute della gente. Abbiamo intervistato il dottor Roberto Ruiz, esperto del settore.

-Lavorare in Brasile può essere il lasciapassare per una malattia grave o addirittura per la propria morte.
-Sì, possiamo proprio dire così! 
 
-Negli ultimi anni si sono notati alcuni miglioramenti su questo tema o è rimasto tutto uguale? 
-Da una parte sembra che ci siano stati alcuni miglioramenti, per esempio per ciò che riguarda la biomeccanica e l’ergonomia. Dall’altra, però, il problema principale, che crea la relazione diretta tra lavoro e  malattia, ha a che vedere con l’organizzazione del lavoro, che ha puntato a eliminare in modo sistematico quelli che si conoscono come i tempi morti.  Stiamo parlando delle corte pause che un lavoratore ha per riposare, ottemperare ai bisogni fisiologici, senza le quali la propria salute potrebbe risentirne.
 
 
“Quando ho iniziato disossavo tre muscoli e mezzo di pollo al minuto e loro esigevano sempre di più. Durante gli 11 anni che ho passato nel macello sono arrivato a disossare sette muscoli al minuto, poi mi sono ammalato”

(Testimonianza di un ex lavoratore. Documentario “Carne e Osso”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Diminuiscono le pause, mentre s’intensifica il lavoro… 
-È proprio così. Entrambe le cose pregiudicano la salute dei lavoratori. Ci sono sempre meno tempi morti, durante i quali si poteva andare in bagno o semplicemente riposare alcuni minuti. Intanto si intensifica il lavoro: compiti che prima svolgevano due persone adesso li fa una sola. Come dice Alain Wisner, fondatore della scuola francese di Ergonomia, “ci si può sentire più stanchi per un’ora di lavoro intenso che per quattro ore di lavoro rilassato”. 
 
 
"Per disossare una coscia di pollo ci vogliono 12 tagli in 15 secondi, oltre ad altri sei movimenti, 18 movimenti in totale per disossare una coscia”.

(Paulo, consulente del Pubblico Ministero sezione Lavoro. Documentario “Carne e Osso”)
 
 
-C’è anche una forte pressione psicologica sul lavoratore…
-Nel settore della macellazione, per esempio, alla mancanza di pause, allo stress e all'intensità dei ritmi di lavoro, dobbiamo anche aggiungere la monotonia delle operazioni da svolgere. Sto parlando di veri e propri ghetti di lavori ripetitivi, durante i quali si fa sempre la stessa cosa, esattamente gli stessi gesti per otto ore. 
 
Così, mentre le grandi industrie della carne in Brasile si fondono, si ricompattano, articolano nuove sinergie, il sistema di produzione sta portando i loro lavoratori a una condizione di “vecchiaia precoce”, di persone malate che per il resto della loro vita soffriranno d’intensi dolori. Tutto ciò influisce chiaramente sul loro sistema emozionale. La depressione è già un fenomeno epidemiologico.

 
"È assolutamente normale che i lavoratori nei macelli facciano tra 80 e 120 movimenti al minuto. Studi medici indicano che le norme di sicurezza sul lavoro consigliano circa 35 movimenti al minuto. Stiamo quindi parlando di un valore che è tre volte superiore a quello che viene considerato come il limite massimo per la salute del lavoratore". 

(Heiler, Procuratore del Lavoro. “Carne e Osso).  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Che cosa si può fare per cambiare questa situazione? 
-Quello che stiamo già facendo. Da una parte denunciare e dare visibilità a questa tragedia a livello nazionale e internazionale, soprattutto in quei Paesi che sono grandi importatori delle nostre carni. Dall’altra, come tu stesso hai più volte detto, bisogna democratizzare l’ambiente delle relazioni sul lavoro, perché oggi le fabbriche e le piantagioni agricole in Brasile sono veri e propri enclavi autoritari. 

L’unica alternativa è quindi potenziare il lavoro politico dei sindacati. O le organizzazioni sindacali alzano la testa di fronte a questo potere economico emergente, costituito da multinazionali brasiliane che diventano sempre più arroganti nella misura in cui crescono di dimensione, o le condizioni di lavoro peggioreranno ancora di più. 

Che le condizioni di lavoro siano migliori o peggiori dipende direttamente dalla capacità di organizzazione, denuncia e resistenza da parte di tutti i lavoratori. 
 
-Credo che tu abbia toccato un tema fondamentale: continua la dittatura nelle fabbriche. 
- Sì, senza dubbio. È difficile dire che viviamo in una democrazia quando essa non è mai arrivata nei luoghi di lavoro. Lì non si può discutere perché non si accettano le domande: le aziende hanno già tutte le risposte di cui hanno bisogno e non vogliono sentire altro.
 
Per esempio, il numero di unità o le quantità che il lavoratore deve produrre (meta di produzione) viene deciso unilateralmente. Si tratta di quantità inumane che non vengono mai discusse con i lavoratori o con i sindacati. Si applicano e basta. Questo modo autoritario di gestire le cose, senza alcun interesse per le conseguenze sui lavoratori, sta ad esempio massacrando la gente che lavora nel settore della produzione dello zucchero e delle bevande alcoliche. Nelle piantagioni di canna da zucchero i lavoratori muoiono esausti. Oppure nei macelli, dove i lavoratori restano invalidi per il resto della loro vita a causa delle lesioni da sforzi ripetuti. 
 
È come si racconta nel documentario "Carne e Osso": se qualcuno svolge il suo compito in 15 secondi, questa operazione deve poi essere ripetuta per un’ora e per tutta la giornata di lavoro, dando importanza solo all’aspetto della produzione e non alle conseguenze che provoca questo sistema.
 
 
“C'è gente che si sta ammalando. Ma non si fa niente. Che cosa succede? Che costa meno licenziare uno quando incomincia a stare male. Questo è quello che uno vede: appena qualcuno incomincia a sentire dolore lo buttano fuori e si chiama un altro”. 
 
(Valter, consulente del Pubblico Ministero sezione Lavoro. Documentario “Carne e Osso”)
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Ho l'impressione che stiano aumentando e si stiano articolando le voci di denuncia per rendere visibile questo massacro. 
-Sì, perché la gente si sta rendendo conto di quello che succede. E non solo all’interno del movimento sindacale, ma anche tra il personale pubblico, perfino di alcuni ministeri e persone vincolate alle università, professori, eccetera. 

In Brasile non possiamo continuare a produrre in questo modo, senza poi porci il problema di chi ne fa le spese. Dobbiamo pensare al costo-beneficio per la società e domandarci: vale davvero la pena mantenere queste condizioni di lavoro, con questi livelli di malattie e di lesioni permanenti? Vale la pena creare un posto di lavoro che offre alle persone una stabilità per uno o due anni e una volta malate, dovrà essere la società a farsene carico per il resto della loro vita? 
 
-È per questo che l’industria avicola ha maggiori problemi nel trovare personale…
-Esattamente. In Brasile, con una disoccupazione che s’aggira intorno al sei per cento, è possibile ora decidere che lavoro fare. Come lo ha segnalato molto bene Siderlei di Oliveira, presidente della CONTAC, ci sono aziende che portano e riportano i lavoratori percorrendo distanze comprese tra i 60 e gli 80 chilometri. La gente che vive vicino al macello preferisce la disoccupazione a quell’inferno.

© (Testo Gerardo Iglesias - Rel-UITA. Traduzione Giorgio Trucchi per la Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione  Italia-Nicaragua - www.itanica.org )