lunedì 2 gennaio 2012

Neruda en el corazón



Murales cileno
Neruda poeta. Neruda scrittore, politico, diplomatico, presidente(quasi), marito e padre... Uomo, prima di tutto, che amava ritrarsi umile e impegnato in mezzo agli altri uomini, che ha vissuto con i suoi versi e il suo impegno(“La poesia es un oficio”, diceva) sempre da “io” protagonista, ma non solo per suo sfizio personale, anzi, pensando sempre alla collettività.
Un pensatore, non un fazioso.
Attaccato alla sua terra, il Cile, ma pronto a partire per mete lontane e talvolta improbabili, come nel caso del viaggio in Asia del 1927 o come quando tornò in patria a bordo della Winnipeg.
Troppo banale e prolisso enumerare le azioni svolte nel corso di una vita così intensa; quindi meglio scoprirne solo qualche tassello, sconfessare qualche pezzetto di vita. In particolare, capire quanto una personalità come Neruda abbia significato in un secolo come il '900, innanzitutto per il Cile, patria lasciata e ritrovata più di una volta, dai confini non nitidi, che oltrepassano le Ande arrivando fino a Valparaíso, così vicina alla grande capitale eppure così diversa, il cui centro non è Santiago, ma piuttosto la Isla Negra, rifugio di vita che sconfinava nell'oceano più remoto.
Fu proprio Neruda che riuscì a portare numerosi intellettuali europei oppositori alle dittature dominanti in Europa fino in Cile, salvandoli da una morte certa. Per questo, probabilmente, si cruccerà sempre per non essere riuscito a sottrarre al triste destino il suo collega e grande amico Federico García Lorca, che a causa dello stesso amor di patria che sentiva Neruda, non se la sentì di lasciare Granada, dove sarà fucilato “misteriosamente” dai franchisti nell'agosto del '36.
In seguito, Neruda lascerà il paese natale, forzato dall'esilio. Conoscerà in questi anni personalità letterarie spiccate e futuri amici, come Alberti, Hernandez, Eluard, ma farà anche incontri inaspettatamente piacevoli, dato il suo credo politico.
Dalle pagine della sua biografia “Confieso que he vivido”, si evince una condanna implacabile contro le dittature europee dell'epoca, da quella francese di Vichy, fino a quella franchista e non per ultima quella italiana.
Un'opposizione quella di Neruda che dura quarant'anni, senza dubbi né compromessi, ma espressa sempre da uomo di cultura, estremamente moderno. Nelle sue parole di condanna traspare un'umiltà disarmante, capace di far riflettere più di mille offese scagliate contro l'oppressore. Fu per questo motivo che subì l'esilio, divenendo anche lui, come altri colleghi(Alberti, Vallejo)migrante, per più di dieci anni.
Vive la lontananza dalla sua terra con semplicità e dignità uniche, non subita, quasi come fosse stata l'occasione per i suoi viaggi, come quello in URSS del '49 durante il quale si ricredette rispetto a Stalin, e per i suoi incontri, come quello con Matilde Urrutia, sua futura moglie a cui dedicherà nel 1959 “Cien sonetos de amor”.
Mi viene in mente un ossimoro se penso alla lunga contestazione di Neruda, definendola “un'opposizione rispettosa”. In effetti, Pablo Neruda era un uomo umile e rispettoso, prima di tutto con gli amici. Per esempio, cedette di buon grado il suo posto per le presidenziali a Salvador Allende, non sentendosi all'altezza. Ma anche con gli avversari, riconoscendo ad esempio la grandezza artistica dell'antisemita Céline.
Neruda si sentiva prima di tutto un poeta. Confidava estremamente nel potere del suo lavoro, primo compagno della sua vita, di quel mezzo espressivo, la parola, per lui arma potente e costruttiva(o distruttiva, a seconda di chi la pronuncia...). La forza della parola è più potente dei dittatori, delle bombe e delle armi da fuoco. Una forza all'apparenza innocua, ma in realtà dirompente, di cui Neruda parla così: 

Pablo Neruda con Salvador Allende
“La poesia es siempre un acto de paz. El poeta nace de la paz como el pan nace de la harina. Los incendiarios, los guerreros, los lobos buscan al poeta para quemarlo, para matarlo, para morderlo. Un espadachín dejó a Pushkin herido de muerte. Luchando contra la guerra, murió Byron en Grecia. Los fascistas españoles empezaron la guerra en España asesinando a su mejor poeta.
Pero la poesia no ha muerto, tiene las siete vidas del gato. La molestan, la arrastran por la calle, la escupen y la befan, la limitan para ahogarla, la destierran, la encarcelan, le dan cuatro tiros y sale de todos estos episodios con la cara lavada y una sonrisa de arroz.”

La magia della poesia, però, non appartiene a tutti. Neruda ce l'aveva cucita addosso. Tanto era passionale che dopo trentotto anni dalla sua morte i suoi versi sono ancora viscerali e fortemente carismatici.
Leggere Neruda è un viaggio che ne racchiuda altri: amore, avventura, esplorazione di terre esotiche e sconosciute, romanzo storico.
Tutto ciò accompagnato dalla colonna sonora delle sue parole, semplici, ma perfettamente orchestrate: sinfonia che ha musicato quasi l'intero '900.

                                            
                                                                                               Anna Braccesi