venerdì 25 novembre 2011

L'Argentina discute l'aborto

                                                                                                                                  

 
 



 





 
Lo scorso martedi 1° novembre nei locali del Congresso dei deputati di Buenos Aires è iniziata una storica discussione finalizzata alla legalizzazione dell' aborto. Dopo l'approvazione nel luglio del 2010 della legge che regolarizza i matrimoni gay ( unico paese in America latina), sembrava che un altro importante passo consacrasse  l'Argentina come paese all'avanguardia nel continente latino americano per il  rispetto e la promozione dei diritti civili.
La discussione ha coinvolto la Commissione di legislazione penale, presieduta dal cordobese Juan Carlos Vega, della Coalición Cívica (CC). 
Mentre fuori dal Congresso si riunivano in due differenti presidi sia le realtà antiabortiste, sostenute soprattutto dalla Chiesa Cattolica e capeggiate dal Movimento Alerta Argentina, e le realtà che sostengono il diritto della donna ad abortire.(vedi foto)
Nonostante il risultato favorevole alla proposta di depenalizzazione dell'aborto raggiunto in commissione, tale risultato si è scontrato con il mancato raggiungimento del quorum. Ha probabilmente pesato la mancanza del sostegno della rieletta presidentessa Cristina Kirchner, che nonostante abbia affidato alla coscienza dei suoi colleghi di partito la questione, ha sempre manifestato la sua contrarietà all'interruzione volontaria di gravidanza.  E peserà in futuro, se pensiamo soprattutto che dal prossimo anno avrà la maggioranza dei deputati in entrambe le camere. Juan Carlos Vega non si è dato per vinto ed ha annunciato che la prossima settimana proporrà il dibattito nell' ambito di un'assemblea plenaria che coinvolgerà anche la altre due commissioni parlamentari: Famiglia e Minoranze, e Salute. Ma i presidenti di queste due commissioni non sembrano comunque disponibili a riunirsi in questa assemblea, come hanno anticipato al quotidiano La Nación (http://www.lanacion.com.ar/1420257-se-congelo-el-proyecto-sobre-aborto).
Ma una delle sostenitrici della legalizzazione del diritto della donna ad abortire, la deputata Cecilia Merchán (Libres del Sur) sostiene che un passo importante è comunque stato fatto iniziando il dibattito in Parlamento, dibattito che ormai non potrà essere più eluso.

La questione dell'aborto in America Latina ha una dimensione drammatica. Secondo una stima elaborata dal SEMlac,  nel continente latinoamericano e nel Caribe circa 3 milioni di donne ricorrono all’aborto e altrettante solo in Brasile. In maniera clandestina e pericolosa.
Le alleanze tra governi e Chiesa cattolica hanno prodotto una forte criminalizzazione assumendo forme di vera e propria regressione sociale. Una ricerca effettuata da SEMlac sulla legislazione vigente in Argentina, Bolivia, Colombia, Cile, Cuba, Guatemala, Messico, Nicaragua, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay e Venezuela, evidenzia che la pressione esercitata da gruppi più conservatori della società civile e dalla chiesa cattolica, è riuscita, in molti di essi , a rendere le norme penali sempre più restrittive.

In Cile nel 1989, quando la dittatura militare agonizzava, si criminalizzò l'aborto in qualunque caso, situazione che prosegue tuttora.

"La madre non può abortire anche se il feto ha degli handicap, anche se non l’ha desiderato, anche se frutto di una violenza e, nonostante, il rischio di morte",- Jaime Guzmán, gestore della Costituzione ereditata dal periodo di Pinochet e fondatore dell'Unione Democratica Indipendente -
Oltre al Cile, anche Repubblica Dominicana, e Salvador, sono i paesi dell'America latina che hanno criminalizzato l'aborto a prescindere dal nesso di causalità. In Cile costituisce la terza causa di morte materna.
Nella Repubblica Dominicana, una riforma costituzionale promossa il 17 di settembre 09, stabilisce il diritto alla vita dal concepimento e l'aborto è equiparato alla pena di morte. Ma il caso forse più grottesco è quello del governo del Nicaragua, dove una forza di sinistra e rivoluzionaria come il Frente Sandinista, in nome di una riconciliazione con la Chiesa Cattolica che gli ha permesso di tornare al potere dopo 16 anni, ha inasprito le leggi sull'aborto penalizzando anche quello  terapeutico. Condannando in pratica una moltitudine di donne ai ferri delle curanderas e  ai  bizzarri e pericolosi metodi fai da te. Mentre non c'è da dubitare che le figlie della borghesia scaturita e legata all'elite politica del FSLN, non si faranno troppe remore morali nell'andarsene ad abortire nelle cliniche dell'amica Cuba. Cuba unica eccezione insieme al Messico ( anche se limitatamente ad alcuni stati tra cui il D.F. e cioè lo Stato della capitale Città del Messico) e la Guyana  nel panorama latino americano.  A Cuba d dal 1965 l'aborto è legale e gratuito per tutti. Il Messico invece ha segnato un inversione di tendenza rispetto alla già citata regressione sociale, culturale e politica che caratterizza la politica latino americana rispetto a questo tema. Infatti in Messico è stato legalizzato nel 2008, quando la corte di appello a cui si era affidato il presidente conservatore Calderon ha invece sancito la costituzionalità della legge che permette il diritto di abortire senza restrizioni nei primi tre mesi di gravidanza. Curiosa ma nemmeno più di tanto, la scomunica voluta dai vescovi di Città del Messico nei confronti del Sindaco della città e avvallata dal Papa.

Aspettando l’evolversi della discussione in Argentina, ci auspichiamo che questo rappresenti l’inizio di un importante inversione di tendenza in un continente dove abortire significa, soprattutto per le donne appartenenti alle classi più povere, rischiare la vita e la libertà.

Gabriele Morandi
foto di Delfina Curries



Nessun commento:

Posta un commento